Irene Salvatori, Eroi e sangue nella Roma antica – La fine della Repubblica [recensione]

Consigli sui libri da leggere

Non sai che libro leggere? Il libro di Irene Salvatori, Eroi e sangue nella Roma antica, ripercorre gli ultimi 90 anni della Repubblica romana, con particolare riguardo per gli eventi compresi tra la fine delle Guerre Puniche (146 a.C.) e la morte di Giulio Cesare (44 a.C.).

Una ricognizione storica che si concentra su alcuni personaggi significativi dell’epoca. È in questo periodo e nei fatti che lo caratterizzano che l’Autrice individua le premesse che porteranno alla nascita dell’Impero e alla decadenza di Roma. Se preferisci la saggistica alla narrativa, questo articolo fa al caso tuo.

Roma si è sovrapposta, secolo dopo secolo, ma ogni strato ha conservato tracce del proprio passato che, archeologi e storici, con pazienza e passione, riportano alla vita, ricostruendo le storie magnifiche e misere della Roma antica.

Ascolta il podcast della recensione

Scegli se ascoltare il podcast della recensione del libro di Irene Salvatori, Eroi e sangue nella Roma antica. La fine della Repubblica, su varie piattaforme (in tal caso clicca sul tasto rosso) oppure direttamente su questo sito (clicca sul triangolo dell’immagine qua sotto):

Libro recensito

Irene Salvatori, Eroi e sangue nella Roma antica. La fine della Repubblica, Haiku edizioni, 2018, 212 pagine.

Altre informazioni

Eroi e sangue nella Roma antica. La fine della Repubblica si inserisce nell’ampio novero della saggistica storica di carattere divulgativo ed è disponibile in versione cartacea (lo puoi trovare qui).

Ho scelto questo libro, che mi è stato inviato (in formato digitale) in omaggio dalla Casa Editrice per la recensione. Successivamente ho deciso di acquistarlo in formato cartaceo.

L’Autrice, Irene Salvatori, è archeologa e divulgatrice. Questo libro è stato realizzato in collaborazione con l’Associazione culturale STORICUM, che riunisce archeologi e storici dell’arte con l’obiettivo di promuovere e valorizzare i siti meno conosciuti di Roma e del suo territorio.

L’ambientazione e il contesto del libro

Come già accennato sopra, il libro di Irene Salvatori, Eroi e sangue nella Roma antica. La fine della Repubblica, è ambientato nell’ormai vasto universo romano a cavallo tra la fine delle Guerre Puniche e la congiura contro Cesare.

Il quadro storico: l’espansione di Roma

Con la sconfitta dei cartaginesi alla fine della Prima Guerra Punica (241 a.C.) i romani ottengono il dominio sulla Sicilia, che diviene la prima provincia romana. Successivamente (nel 202 a.C.), dopo la fine della Seconda Guerra Punica, lo estendono anche alla penisola iberica.

Nel frattempo (222 a.C.) Roma perfeziona anche la conquista dei territori celtici che si estendono dalla valle del Po fino alle Alpi (e che assumeranno il nome di Gallia Cisalpina). Dopo le guerre macedoniche e la guerra siriaca, espande la sua egemonia sulla Grecia e sull’Asia minore.

Con la fine delle Guerre Puniche e la distruzione di Cartagine (146 a.C.), Roma diviene la padrona incontrastata del Mediterraneo.

In seguito, con Giulio Cesare, il dominio di Roma si estende ulteriormente dalla Gallia Transalpina fino all’Oceano atlantico e al Reno. Per la prima volta i romani mettono piede in Britannia. L’espansione verso Oriente li porta a scontrarsi coi parti, in Mesopotamia.

Dalla geopolitica alla trasformazione dello Stato

I mutamenti negli assetti politici e militari si accompagnano all’istituzione della federazione italica e al supporto di una serie sempre più ampia di socii. Questi cambiamenti esercitano su Roma una profonda influenza legata all’accrescimento territoriale e al contatto con popoli sempre diversi.

È in questo contesto che si manifestano le prime necessità di un riassetto amministrativo ed istituzionale. Tali aspettative si traducono in istanze destinate a rimanere sostanzialmente disattese. Inoltre, fin da prima delle Guerre Puniche, l’espansione bellica sui popoli confinanti e i crescenti rapporti con civiltà diverse iniziano ad incidere profondamente sul tessuto connettivo della società romana producendo crisi a vari livelli.

La crisi istituzionale

Sotto il profilo istituzionale, l’organizzazione sociale e politica di Roma è rigida e calibrata sul modello di una città-Stato di limitata estensione territoriale. Un modello che pertanto, mal si adatta a controllare un territorio di sempre più vaste dimensioni.

Tale rigidità si manifesta anche nei rapporti tra le sue componenti sociali e comporterà una lenta ma inesorabile erosione dell’assetto primigenio senza trovare un’adeguata risposta rispetto alle nuove istanze che nel corso del tempo si presenteranno.

La crisi sociale ed economica

Analogamente, l’espansione territoriale di Roma produce effetti anche sul fulcro sociale primigenio della città, che è costituito da contadini-soldati, cioè da cittadini liberi dediti alla coltivazione della terra o alla pastorizia i quali diventano militari nei momenti di guerra. Questo nucleo originario si indebolisce e si trasforma irreversibilmente.

Da un lato, le sempre più frequenti spedizioni militari (e il correlato onere di arruolamento) sortiscono l’effetto di spopolare le campagne. I poderi, trascurati, cadono in rovina e vengono abbandonati o ceduti a poco prezzo dai vecchi proprietari. La perdita della proprietà agricola comporta il depauperamento e la conseguente proletarizzazione di una porzione sempre più consistente di cittadini che finisce così per confluire nell’Urbe in cerca di migliori opportunità e condizioni di vita.

Dall’altro lato aumenta il numero dei territori conquistati, che – dopo essere stati dichiarati ager publicus – vengono alienati a speculatori, per lo più rappresentanti dell’ordine senatorio o della nascente classe equestre, i quali dispongono dei mezzi economici per acquistarli e per farli fruttare.

Gli schiavi

L’assoggettamento di nuovi popoli da parte di Roma comporta, come ulteriore conseguenza, l’acquisizione di grandi masse di schiavi, che affluiscono copiosamente anche all’interno della Repubblica. Ciò si traduce in un ulteriore motivo di turbamento dei già precari equilibri economici.

La produzione agricola proveniente dagli appezzamenti rurali di piccole e medie dimensioni (dove ancora resistono gli ultimi contadini-soldati ormai prossimi alla rovina) diviene troppo costosa rispetto a quella praticata nei sempre più diffusi latifondi, che invece si servono ormai esclusivamente di manodopera servile. Una manodopera molto meno costosa e largamente disponibile sul mercato.

In seguito anche in molti altri settori produttivi il lavoro degli schiavi finirà per soppiantare il lavoro dei cittadini liberi condannando questi ultimi all’indigenza e all’irrilevanza.

Una crescente disparità economica

Così la trasformazione della struttura economica romana produce una sempre più intensa sperequazione di ricchezza tra le diverse componenti sociali: da un lato vi è la classe patrizia, allargatasi fino a comprendere i membri della classe equestre e dall’altro lato vi è un proletariato urbano sempre meno protagonista del processo economico e destinato a pesare sempre di più sull’erario pubblico e a divenire strumento di manovre demagogiche per sovvertire l’ordine politico esistente.

Il mutamento dei costumi e i nuovi influssi culturali

Allo stesso modo, l’ingente afflusso di ricchezza dai popoli vinti genera un boom economico che, seppur in modo impari, sconvolge la società rendendo inadeguata l’impalcatura su cui si era retta anche sotto il profilo dei costumi, che si addolciscono e si modellano sui canoni culturali d’importazione. Nuovi bisogni e nuove mode emergono e si diffondono, in particolar modo tra i cittadini benestanti.

Roma si appresta così a diventare una città sempre più multietnica, caratterizzata da un forte dinamismo culturale, dalla tolleranza religiosa e dalla spinta verso l’innovazione e la sperimentazione.

Le classi dirigenti sono affascinate soprattutto dall’arte, dalla filosofia, dalla letteratura e dalla cultura greca.

Attorno al circolo degli Scipioni, un circolo culturale filellenico sponsorizzato dall’allora influentissima famiglia degli Scipioni e, più ampiamente dalla gens Cornelia, si raccolgono tutti gli intellettuali più famosi del tempo. Qui, accanto a una nuova visione del mondo, si incentivano modi raffinati e si coltiva l’uso di un linguaggio pulito e ricercato.

L’opposizione dei tradizionalisti

All’interno della società romana si crea così una frattura tra i fautori dei nuovi valori e coloro che invece si ergono a difesa del mantenimento del mos maiorum, la severa tradizione degli antenati. Promotore del secondo schieramento è Marco Porcio Catone, detto “il Censore”.

Come avrà modo di commentare molti anni più tardi il poeta Orazio, “Graecia capta ferum vincitorem coepit et artes intulit agresti Latio”: la Grecia conquistata, conquistò il selvaggio vincitore e le arti portò nel Lazio agreste.

Certo, l’incontro con culture così distanti e diverse ampliò la sua visione del mondo e, in nome di questa visione, raccolse intorno a sé letterati, filosofi, artisti, poeti, fatto contro il quale non mancò di tuonare l’irreprensibile Catone che, tanto per fare un esempio, conosceva bene il greco ma che, nonostante ciò, pretendeva che accanto a lui ci fosse sempre un traduttore.

Di cosa tratta questo libro

Irene Salvatori in Eroi e sangue nella Roma antica, si sofferma su alcuni eventi significativi che coinvolgono i protagonisti del libro e che fanno da filo conduttore offrendo uno spunto di riflessione non solo sul progressivo decadimento che porta la Repubblica di allora a favorire la nascita dell’Impero, ma anche su analoghe problematiche che condizionano la realtà attuale.

I protagonisti

I protagonisti di questo libro sono gli Scipioni, i Gracchi, Mario e Silla, Sertorio, Catilina e Giulio Cesare.

Gli Scipioni

Il primo capitolo è dedicato a Publio Cornelio Scipione “l’Africano” e a suo fratello Lucio “l’Asiatico” e, in particolare, ai retroscena del processo istruito a loro carico da parte dei loro avversari politici, rispettivamente per tradimento e per peculato.

Il periodo è quello compreso tra la fine della seconda guerra punica, le guerre macedoniche e la guerra siriaca. Roma ha conquistato il Mediterraneo occidentale ed inizia ad espandersi anche su quello orientale, sfruttando abilmente le rivalità degli Stati sorti dopo la spartizione dell’Impero di Alessandro Magno.

La fazione degli Scipioni è all’apice della notorietà. Publio Cornelio Scipione, il vincitore della guerra contro Cartagine, è considerato il salvatore della patria. Ha fama di uomo valoroso, retto e pio. La sua famiglia è tra le più insigni di Roma [quella che nella storia della Repubblica ha forse espresso più consoli N.d.R.]. Appartiene al quel gruppo ristretto di famiglie che di fatto formano un’oligarchia all’interno della stessa classe senatoriale e, soprattutto, esprime una visione del mondo apertamente ellenizzante ed aperta alle novità.

La società è in piena trasformazione: usi, costumi e culti stranieri iniziano a diffondersi suscitando l’avversione e la preoccupazione della parte più conservatrice del Senato.

Tra questi vi è Catone, l’homo novus di Tusculo [una città del Lazio ubicata sui Colli Albani, nell’attuale area dei Castelli Romani N.d.R.], destinato a rivestire l’ambita carica di Censore. La sua avversione per gli Scipioni si esprime attraverso una serie di azioni volte ad oscurare progressivamente la fama degli avversari. Fino a sfociare nell’evento decisivo: un processo infamante che condizionerà il destino di questi due fratelli, tanto diversi tra loro ma accumunati da un simile destino.

Le cause giudiziarie che hanno imputati famosi sono tutte uguali. Ieri come oggi. Dobbiamo immaginare il Foro Romano gremito di persone che aspettano fuori dall’aula. Qualcuno commenta, altri si sporgono per vedere meglio accusatore e imputato. La verità, quella vera, non è poi tanto importante. La curiosità, quasi morbosa in alcuni, il sincero disprezzo e dispiacere in altri.

I Gracchi

Le vicende dei fratelli Gracchi li vede protagonisti sul finire del II secolo a.C. È un periodo storico attraversato da fortissime tensioni sociali.

A livello politico sono due le fazioni che si contendono il potere: da un lato vi sono i populares, che propugnano politiche volte a favorire un maggiore benessere sociale e che hanno, come punto qualificante, le riforme agrarie. E dall’altro vi sono gli optimates, l’aristocrazia più rigorista e conservatrice.

Tra le due fazioni vi è la plebe, che preme per migliorare le sue condizioni. E infine vi sono i socii, gli alleati italici di Roma, che chiedono di ottenere la cittadinanza romana.

L’impegno politico

Tiberio e Caio sono figli di Cornelia, sorella di Publio e Lucio Cornelio Scipione e crescono in un ambiente prestigioso e permeato delle idee ellenizzanti e progressiste del Circolo degli Scipioni, di cui la madre è parte attiva.

Il 133 a.C. è l’anno che segna la fine delle grandi guerre romane e apre il periodo delle guerre civili.

La situazione non è rosea a causa della disparità economica e dalla povertà in cui versano molti reduci costretti a svendere i propri poderi ed ormai privi di mezzi di sostentamento.

Tiberio ottiene un clamoroso successo durante la campagna elettorale e diviene Tribuno della plebe [una carica elettiva tendenzialmente riservata ai plebei e che comportava il potere di intervenire in difesa della plebe attraverso l’esercizio di un potere di veto sugli atti considerati lesivi della plebe stessa N.d.R.].

Con un famoso discorso Tiberio propone un’audace riforma agraria finalizzata a ridimensionare i latifodi derivanti dall’ager publicus ridistribuendo la terra in eccedenza ai contadini poveri. I lotti così riassegnati sarebbero stati inalienabili ed ereditari.

Le vicende successive vedranno protagonista prima Tiberio e poi Caio, il fratello minore. Quest’ultimo, oltre a ripresentare la legge agraria, proporrà un insieme organico ed avanzato di riforme strutturali della compagine politica e sociale romana.

Tali misure non sono semplicemente volte a mettere al riparo i poveri dalla speculazione e a superare il sistema delle clientele. Le sue proposte sono più raffinate di quelle a suo tempo avanzate dal fratello e sembrano rispondere al disegno, lungimirante, di adeguare Roma alla sua nuova condizione di dominatrice di buona parte del mondo allora conosciuto.

Le reazioni

Le vicende, drammatiche, che li interesseranno dimostreranno ancora una volta come l’ottusità di una classe dirigente interessata unicamente a conservare l’esistente abbia contribuito alla degenerazione istituzionale e sociale aprendo la strada ad ulteriori tragedie.

La classe senatoria si avviò baldanzosa a smantellare le riforme dei fratelli Gracchi, in particolare la legge agraria; per loro fu decretata la damnatio memoriae e alla madre non venne permesso di indossare il lutto. […] Tiberio morì a ventinove anni, Caio a trentuno.

Mario e Silla

Mario e Silla sono due generali, uno popolare e l’altro conservatore. Due personaggi totalmente diversi tra loro ma accomunati dalla stessa, intensa sete di potere. Storicamente è un periodo delicato.

Permangono le tensioni derivanti dalla fine dei Gracchi e, soprattutto, rimane intatta la questione da essi sollevata. L’ideologia graccana del ritorno alla terra continua ad animare sottofondo il dibattito politico.

E poi vi è anche la questione italica.

Sotto il profilo sociale vi è la questione relativa all’esercito, che, con Mario, inizia ad aprirsi anche ai volontari. Questi ultimi sono spesso proletari impoveriti che vedono nell’arruolamento un’occasione di riscatto sociale.

Mario

Gaio Mario proviene da una famiglia di origini modeste. Piccoli possidenti terrieri appartenenti alla classe equestre. I primi anni li trascorre in Spagna, come militare al seguito di Scipione l’Emiliano. Quando torna a Roma, nel 119 a. C., inizia la sua carriera come tribuno della plebe.

Come sottolinea l’Autrice, a dispetto delle ricostruzioni tradizionali che ne fanno un campione dei Populares, in realtà Mario è un uomo ambiguo ed ambizioso che cerca di conquistare il favore dei plebei senza però alienarsi quello degli aristocratici.

Nel frattempo le questioni geopolitiche iniziano a tornare protagoniste su tre fronti: l’Africa, con la guerra giugurtina (111-105 a.C.), il nord, con la minaccia dei Cimbri e dei Teutoni e l’Oriente, con la presenza di un personaggio scomodo: Mitridate VI, re del Ponto, che si fa interprete del malcontento delle città greche e punta a mettere in discussione le basi del controllo romano sull’intera regione.

Silla

Silla fa la sua comparsa sulla scena della guerra contro Giugurta, dove si distingue per abilità militare e per astuzia. Pur essendo di nascita patrizia – la sua famiglia appartiene all’illustre gens Cornelia – non dispone di mezzi economici.

La sua determinazione si accompagna ad un temperamento freddo ma al contempo abile nel cogliere le occasioni. Saranno queste caratteristiche ad accrescere la sua fama di uomo spietato ed intransigente.

La guerra sociale e la guerra civile

Per diversi anni Mario e Silla coesisteranno sulla scena politica e militare ricoprendo incarichi via via più importanti. Finché i loro contrasti, dettati dalle rispettive, differenti ambizioni e visioni non li vedranno schierati l’uno contro l’altro.

Gli sviluppi successivi saranno forieri di lotte sempre più violente, aggravate sia dalla difficoltà esterne, sia dal prorompere della questione italica, determinata dall’aspirazione dei popoli italici di acquisire la cittadinanza romana (e i relativi benefici).

Nella sanguinosa disputa per il potere che vedrà contrapposti i due generali, sarà decisivo il ruolo dell’esercito. Un esercito ormai professionale, proletarizzato e rinvigorito dall’ingresso di soldati motivati e fedeli al loro generale (e che prendono il posto di tanti romani che per legge erano costretti all’arruolamento in base al censo).

È un periodo drammatico e molto sanguinoso, che sfocerà prima nella guerra sociale e poi in una vera e propria guerra civile, seguita da esecuzioni, liste di proscrizione [sostanzialmente l’epurazione degli avversari politici N.d.R.] ed una gravissima crisi economica che coinvolgerà tutti gli strati sociali della penisola italica.

Le differenze tra Mario e Silla

Come acutamente rimarca Irene Salvatori in Eroi e sangue nella Roma antica, le differenze tra questi due personaggi risiedono nel fatto che Mario è un soldato e non ha né una chiara percezione dei cambiamenti sociali in atto, né visioni politiche di ampio respiro. Le sue scelte sono dettate da puro pragmatismo.

La riforma dell’esercito non è attuata dall’intento di favorire il riscatto sociale ed etnico degli strati di popolazione prima esclusi dalla leva. Lo scopo è di rendere più efficiente e professionale l’esercito attraverso la riorganizzazione delle truppe e la fornitura di dotazioni ed equipaggiamenti più adeguati.

Mario, al contrario di Silla, non sembra intravedere le reali potenzialità di avere un esercito fedele. La sua stessa ambiguità politica è dettata dall’essere un homo novus, che vorrebbe essere accolto dalla nobiltà ma ne viene invece respinto.

Silla invece è portatore di una forte visione politica conservatrice e filo-oligarchica. Il suo intento è chiaro. Silla vuole riportare l’ordine nella società e riaffermare il potere degli ottimati. Il potere e la violenza non sono che mezzi per realizzare il suo disegno.

Anche Silla, al pari di Mario, non sembra rendersi conto delle trasformazioni della società e delle riforme che sarebbero necessarie.

Come sottolinea l’Autrice, il limite della sua visione fu di “puntellare con esili paletti la struttura di una società che stava crollando su sé stessa, facendola ripiombare nel medioevo ottuso delle origini”.

Il generale sbaraglia l’immenso esercito barbarico. Le fonti parlano di più di centomila morti germanici; forse le fonti esagerano, ma la leggenda vuole che i contadini della zona, per vent’anni, non dovettero concimare i campi e le culture crebbero forti e rigogliose. Fu un massacro e Mario divenne un eroe nazionale al pari di Romolo e Camillo.

Sertorio

Anche Quinto Sertorio è un generale. Come annota l’Autrice, è un personaggio che immeritatamente è stato relegato dalla storia in secondo piano, come un personaggio marginale. Alcuni eminenti storici invece hanno di lui la più alta considerazione.

Chi è Sertorio? Il periodo storico è sempre quello delle guerre civili. Sertorio nasce a Norcia nel 122 a.C. da una famiglia romano-etrusca imparentata con Mario.

Grandissimo generale, uomo di retti costumi e di alta moralità, variamente paragonato a Scipione l’Africano o Annibale, Quinto Sertorio fu un forte sostenitore della causa mariana contro Silla e, da un certo momento in poi, nemico numero uno di Roma. Per alcuni è un eroe, per altri un traditore.

Buon giurista ed oratore, Sertorio inizia la carriera militare in Gallia. Quindi è al seguito di Mario durante i combattimenti contro i Cimbri e i Teutoni e poi in Spagna e in Italia durante la guerra sociale.

Durante la contesa tra Mario e Silla, pur aderendo con convinzione alla fazione mariana, si rifiuta e anzi protesta veementemente per le violenze perpetrate nei confronti degli avversari politici. Dopo la morte di Mario si rifugia nella penisola iberica, ove accoglie i mariani in fuga da Roma e dalle proscrizioni di Silla.

Cosa fa di lui il personaggio controverso riportato dalla storia? L’opposizione di Silla e degli ottimati e, soprattutto la sua visione utopica, l’aver voluto istituire in una lontana provincia un senato antitetico a Roma. Questo fa di lui il nemico numero uno dell’Urbe.  Muore nel 72 a.C.

Con Sertorio moriva un sogno, un sogno in cui dominati e dominanti potevano coesistere senza violenza ma all’insegna del reciproco scambio culturale.

Catilina

Chi, da studente, non ricorda le veementi parole di Cicerone su questo personaggio? “Quo usque tandem abutere, Catilina, patientia nostra?” Catilina è considerato uno dei villain più noti della storia. Come rileva Irene Salvatori in Eroi e sangue nella Roma antica, però la sua è una vicenda in chiaroscuro. Certamente Catilina può essere considerato il primo vero rivoluzionario della storia di Roma.

È il I secolo a.C. Roma continua ad accrescere la sua influenza e la sua potenza. La società è sempre più lacerata, animata da una forte sperequazione della ricchezza e da un progressivo decadimento dei costumi.

Ancora una volta la storia vedrà due personaggi contrapporsi. Da una parte c’è Lucio Sergio Catina, che nasce nel 108 a.C. da una famiglia di nobilissima stirpe, la gens Sergia. Dall’altro c’è Marco Tullio Cicerone, il grande giurista che sarà suo acerrimo oppositore. Cicerone è di soli due anni più anziano e proviene da una famiglia benestante ma non nobile.

Gli esordi

Gli esordi di Catilina lo vedono al seguito di Silla dove, durante le epurazioni, sembra farsi una cattiva fama di uomo violento, subdolo e animato da una forte cupidigia. Tuttavia dopo le guerre civili, Catilina si allontana dal partito aristocratico ed inizia ad avvicinarsi a quello dei popolari. Sarà l’inizio di una carriera politica che lo porterà a divenire il campione indiscusso e a lungo atteso dei plebei ma non solo. Tra i suoi sostenitori vi sono anche aristocratici caduti in miseria. Il suo programma, estremamente radicale e basato sulla libertà e la giustizia sociale, sarà oggetto di accanita opposizione da parte della classe degli ottimati.

Gli esordi di Cicerone lo vedono come avvocato intento a propugnare la causa dei democratici ma senza troppa convinzione. Gli anni successivi lo vedranno sempre più impegnato a difendere l’oligarchia senatoria.

I processi e le congiure

Tra il 66 e il 63 a.C. Catilina cerca, inutilmente di candidarsi a console ma viene coinvolto in procedimento, probabilmente arbitrario, a suo carico per concussione conclusosi con l’assoluzione. È in questo periodo che si colloca la prima congiura e che Catilina inizia a farsi la fama di irriducibile ribelle.

Cesare e Crasso sono anch’essi comparsi sulla scena politica. In un primo periodo sembrano condividere gli ideali di Catilina. Dopo che questi inizierà a estremizzare la sua posizione politica, insistendo sulla necessità di ridistribuire le terre e di cancellare il debito, se ne allontaneranno progressivamente.

Nel 62 a.C. cerca nuovamente di candidarsi a console. Ormai ha fama di incendiario e di rivoluzionario. La campagna elettorale è violentissima e Catone il Giovane, pronipote di Catone il Censore, lo convoca in Senato per rendere conto delle sue parole mentre Cicerone con un pretesto sposta in avanti la data delle elezioni che lo avrebbero favorito. Una nuova sconfitta elettorale sembra contenere i germi della rivolta.

È in questo periodo che gli viene smascherata la congiura. Cicerone pronuncia la prima catilinaria e Catilina però viene lasciato libero di allontanarsi da Roma lasciando ai suoi collaboratori il compito di preparare il terreno per la rivolta. La scelta di reclutare schiavi per la causa gli aliena la simpatia sia della plebe, sia degli aristocratici poveri. Sarà uno degli errori che porteranno alla sua disfatta.

Il ritratto che Irene Salvatori fa di Catilina in Eroi e sangue nella Roma antica è diverso da quello che si è abituati a leggere nei libri di storia tradizionali. Pazientemente l’Autrice ricostruisce una figura diversa, animata dall’intento non di abbattere la Repubblica o di scatenare violenze. In sostanza il ritratto di un riformatore che si sforza di dare voce alle classi più emarginate.

Un rivoluzionario? Un reazionario sognatore? Forse entrambi, ma non un nemico della patria.

La congiura contro Cesare

L’ultima parte del libro è dedicata ai cospiratori che partecipano alla congiura contro Cesare. A questi si affianca anche il nome di Marco Antonio che, pur non avendo partecipato attivamente al fatto, è probabilmente al corrente di quanto si va preparando.

Irene Salvatori ricostruisce con pazienza gli eventi precedenti, coevi e successivi alla morte di Cesare utilizzando le stesse argomentazioni e le stesse tecniche della cinematografia e della letteratura appartenente al genere giudiziario dei legal drama (o courtroom drama).

Il ritratto di Cesare

A dispetto dell’opinione comune, che vede nei congiurati l’intenzione di fermare la tendenza assolutista di Cesare e il suo desiderio di sovvertire l’ordine repubblicano l’Autrice giunge alla conclusione che invece si trattò di un’azione efferata e del tutto inutile perché incapace di produrre conseguenze positive di largo respiro.

Di Cesare ricorda soprattutto la sua razionalità e il suo pragmatismo, una dote capace di impedirgli di travalicare la linea sottile che distingue l’accorto politico dall’uomo spietato. Un riformatore spregiudicato ma animato da una visione dello Stato del tutto innovativa e caratterizzata dalla necessità di coinvolgere nuove forze sociali e di riequilibrare la condizione economica di un mondo profondamente diverso da quello della Roma delle origini.

È un sovvertitore, uno che, mattone dopo mattone, abbatte il muro dell’accentramento del potere oligarchico e dei privilegi, che vuole o vorrebbe creare uno Stato sovra-nazionale, accogliendo le nuove spinte progressiste e, per farlo, ricorre all’accentramento dei poteri, superando la vecchia libertas repubblicana a favore di una nuova libertà, per nuovi ceti e nuove forze culturali ed economiche. Ma per farlo, per operare la rottura riformatrice, è necessaria una nuova forma di governo.

Consigliato a

Il libro di Irene Salvatori, Eroi e sangue nella Roma antica. La fine della Repubblica, è consigliato:

  • Soprattutto agli appassionati di storia in generale e, in particolare, a quanti desiderano approfondire alcuni aspetti della storia romana.
  • Agli studenti, che in questo libro potrebbero scoprire un modo non noioso di apprendere la storia romana.
  • Allo stesso modo potrebbe essere un libro gradito anche a chi ama le vicende militari, che qui, anche se sinteticamente, sono descritte in maniera vivida ed efficace.
  • Anche si interessa di sociologia potrebbe trovare interessante questo libro, che mette in evidenza alcune affinità tra le problematiche di allora e quelle attuali.

Nel frattempo, Giugurta non era rimasto con le mani in mano e, con l’aiuto di infiltrati, aveva dato via a una tangentopoli ante litteram, corrompendo e distribuendo mazzette ai maggiorenti romani.

Giudizio

Quello di Irene Salvatori, Eroi e sangue nella Roma antica è un libro scritto con ironia e un linguaggio moderno, chiaro e semplice. Una lettura molto godibile perché l’Autrice riesce a dare vita a personaggi vissuti più di 2000 anni fa insieme ai luoghi che furono testimoni di quegli eventi.

Letture alternative che potrebbero interessarti

Se prediligi la saggistica e ti interessi di storia potresti provare a leggere anche Il vichingo nero, di Bergsveinn Birgisson, uno studioso che ha minuziosamente ricostruito le tappe che, anche a livello economico e geopolitico, hanno portato alla colonizzazione dell’Islanda (su questo blog trovi recensione e podcast).

Fonti e citazioni

La foto piccola è di adamtepl, da pixabay (https://pixabay.com/it).

La casa editrice Haiku (https://www.edizionihaiku.com/) è una giovane casa editrice indipendente romana. Il progetto di Edizioni Haiku si concentra sulla creazione e lo sviluppo di una realtà editoriale a dimensione degli scrittori attraverso la costruzione di un “luogo” di incontro, relazione e crescita per gli scrittori ed i lettori.

Condividi